Oggi nella chiesa parrocchiale di San Floriano di Castelfranco Veneto è stato celebrato il funerale di don Olivo Bolzon e per ricordarlo propongo il primo capitolo del libro "Il dono dell'amicizia. Vita in comune e celibato", scritto con Marisa Restello.
Marisa Restello e Olivo Bolzon
I
Il dono dell'amicizia
Il
dono dell’amicizia perché come dovere vitale, non obbligante, ma attraente
questo racconto-testimonianza di una luce che ha illuminato la mia vita.
È un
racconto perché narra quanto è successo nella mia vita abbastanza lunga. Ho
compiuto 82 anni vissuti in luoghi, in compiti, in situazioni diverse, ma non
come frammenti. La luce del sole, illumina il creato in modo costante, ma
sempre nuovo, in una visione che è bello accogliere e si compone nella
diversità. È un narrare nella luce, e per me è luce del vespero, luce che non è
violenta e non acceca, non è luce di fuoco che finisce, ma il sereno declinare
di un giorno. Arrivato alla sera è spontaneo e sereno constatare che la
giornata vissuta ha avuto tanti momenti, è stata allietata da volti amici, resa
attraente, serena e gioiosa per un sempre più reale farsi prossimo di tante
persone amiche. Ed è gioia per me testimonianza che non si tratta di impresa,
né di scelte volontaristiche e imprenditoriali, ma di doni ricevuti, così come
dice il Vangelo di Giovanni: “non sono diventati figli di Dio per nascita
naturale, per volontà di un uomo, è Dio che ha dato loro la nuova vita”.
Di
tanti amici e amiche potrei descrivere questa realtà, è l’amicizia di Gesù
Figlio di Dio, che vorrei testimoniare parlando della mia vita con Marisa,
perché da Lui nasce questo dono. Se parlo di Marisa, è perché il cammino
vissuto con lei, è come una primogenitura della mia vita con gli altri. Per
questo non mi addentro nelle attuali problematiche ecclesiastiche, se ci debba
essere nella Chiesa cattolica celibato obbligatorio o no per i preti, se le
donne possono essere ammesse al presbiterato.
La
mia narrazione mi è quasi imposta perché la testimonianza è il tessuto vitale
nella Chiesa. Vuol essere il mio atto di riconoscenza perché nella Chiesa ho
ricevuto questo dono e comunicarlo nella Chiesa lo sento come attrattiva che
per tutti può essere comunione di gioia, serenità e pace!
Ero
giovane seminarista: a dieci anni sono entrato nel Seminario di Treviso; fui
attirato dalla personalità del mio parroco che a Sant’Andrea era il vero Capo,
tutta la popolazione trovava in lui, un padre, anche un duce, in senso buono;
niente si faceva nella comunità senza il suo consenso. Era attento non solo
alla cosiddetta cura spirituale, ma anche a tutti gli usi e costumi. Aveva
fondato anche la Cassa Rurale e Artigiana che aveva sollevato dalla fame molte
famiglie. Ogni sera si concludeva la giornata con una partita a carte, cui
partecipavano i maggiorenti del paese. Tra di loro era mio padre che mi portava
sempre con sé. Con il parroco viveva la perpetua, donna di carità per il
prossimo che sapeva far arrivare alle famiglie più bisognose frutta e verdura,
che la gente portava in canonica. Questo orizzonte era l’attrattiva della mia
vita e mi rallegrava il cuore pensare che avrei potuto essere un continuatore
responsabile dell’umanità in questo mondo.
Se
si può parlare di nascita della vocazione, questa prospettiva si impadroniva
dei miei sogni e in casa mia era incoraggiata dai genitori, specialmente mio
padre, molto attento al lato religioso della vita
Il
vivere con tranquillità economica, con il normale andamento sulla famiglia,
con una educazione religiosa e civile fatta nel quotidiano, mi ha permesso di
godere di un’infanzia felice, mi ha aiutato ad avere una relazione normale con
fratello e sorelle
e ha messo nella mia vita radici serene con l’umanità, uomini e donne.
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